In Memory | #fragili

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La nuova collettiva virtuale del ciclo in memory tratta uno dei temi al contempo più abusati e più sentiti da chiunque abbia una sensibilità artistica: la fragilità. Quanti artisti di ogni genere hanno trattato questo tema nel corso dei secoli, ognuno secondo il proprio modo di sentire, ognuno evidenziando il proprio punto di vista. Si tratti di rappresentazioni pittoriche o fotografiche, di opere plastiche, di musica classica o pop, di componimenti poetici o in prosa, di opere cinematografiche in ogni campo della creatività umana gli artisti hanno sondato il proprio stesso essere e hanno fissato in opere d’arte la sensazione di fragilità che ciascuno di noi sperimenta su di sé.

Perché davvero il sentirsi in questo mondo come di passaggio, di esserci ma al contempo di poter sparire confondendosi in un tratto di matita come avviene nelle opere di Giuliana Consilvio, oppure di sentirsi piccoli, nudi e indifesi come bambini mentre gli altri ci appaiono solidi e ben piantati per terra, come la Ziqqurat di Anna Dell’Aversana e Vittorio Varavallo la abbiamo provata – prima o poi – tutti. Oppure ci siamo sentiti sotto costante attacco, impossibilitati a scappare, costretti a non poter vedere la pioggia di coltelli che ci si scaglia contro, come nell’opera di Nadia Magnabosco. Del resto la vita moderna non ci risparmia la sensazione umiliante di essere trattati come numeri, spersonalizzati, ci sentiamo chiamare “risorse umane”, “materiale umano”, siamo caratterizzati da un numero di matricola, costretti a lasciare tutto ciò che ci caratterizza, i nostri effetti personali, i nostri vestiti e le nostre scarpe – come già abbiamo visto accadere in epoche più tristi – e come ci ricordano Anna Argentino e Antonella Aversa.

I nostri artisti ci aiutano ad esplorare ancora più in profondità la sensazioni di fragilità che ci contraddistingue. E ci mostrano con enorme evidenza, se mai ce ne fosse bisogno, che tale condizione, capace di angosciarci, è una delle condizioni umane più comuni. Non che questo sia consolatorio, chiaramente, ma semplicemente è una condizione dell’esistere da cui non possiamo scappare.

Aldo Torrebruno

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