un’arte contemporanea … diversamente pubblica

un’arte contemporanea … diversamente pubblica

Era il 1999, periodo nel quale studiavamo all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Vivevamo l’accademia 8 forse 9 ore al giorno 5 giorni a settimana.

Tra gli studenti molti erano i giovani artisti che guardavamo con interesse.
Riccardo Albanese che amava esibirsi in performance di danza ?, Quarta pittura di Ninì Sgambati e le performance di gruppo da NoGlobal con l’aula Bar ?, Ivan Piano e le sue fisse per i Prodigy ?, Mario pesce a fore: collettivo d’artista che, seppur armati di buona volontà, non riuscivamo per niente a capire (colpa nostra ?), … solo per citarne alcuni.

Questi artisti avevano tutti una comune peculiarità: il loro linguaggio aveva necessariamente bisogno, seppur nei diversi criteri di ricerca artistica, di un pubblico di riferimento, un interlocutore nel quale imbattersi, confrontarsi, interagire e con il quale completare l’opera o, in alcuni casi, la necessaria presenza fisica dell’utente per la realizzazione dell’opera artistica.

Noi, dall’altro lato lavorando tra quattro mura, proseguivamo la nostra ricerca artistica privata senza cercare e ne volere l’interlocutore, seppur fosse stato vestito da solo spettatore. Il nostro lavoro, le nostre performance private avrebbero accettato dopo un utente diversamente pubblico e un pubblico diversamente presente.

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